martedì 29 gennaio 2013


Settimana Confuciana                            29 gennaio 2013

Tra una cosa e l’altra, due settimane sono passate senza scrivere niente nel blog. Oggi ritorno su una questione di nomi, in cui mi sono imbattuto anche ieri in un simposio di amici, tutti laureati di lettere e insegnanti di cinese nei licei di Taiwan.
Si tratta del nome confucianesimo. Questo nome non esiste in cinese, in quanto i letterati seguaci di Confucio sono da sempre chiamati rujia, che significa la scuola dei letterati. Confucio era anche lui un ru. Ci sono diverse teorie sull’origine e significato di questo appellativo ru. Da ormai più di venti secoli comunque l’appellativo indica i seguaci di Confucio, in bene e in male. Qualcuno infatti ha scritto degli articoli distinguendo vari tipi di ru, da quelli di animo nobile, che fanno onore a Confucio e alla Cina (e anche al Giappone, Corea, Vietnam), a quelli di bassa lega, che lungo i secoli hanno strumentalizzato le dottrine confuciane, hanno sfruttato il nome di Confucio per i loro interessi.
A parte questo, il movimento filosofico affermatosi durante la dinastia Song del nord, è noto fra i cinesi con il nome di lixue, mentre nei libri di storia della filosofia cinese scritti in lingue occidentali ha assunto il nome di neoconfucianesimo. A loro volta i giapponesi hanno tradotto questo nome con i caratteri che in cinese si leggono xin rujia. Il che ha creato un po’ di confusione terminologica, in quanto i nuovi confuciani odierni si chiamano anche loro xin rujia.
Per nuovi confuciani odierni s’intende il movimento filosofico sviluppatosi in Cina da circa un secolo a questa parte, da quando nel 1921 Liang Shuming osò scrivere un libro di filosofia comparata sulle tre principali filosofie del mondo (occidentale, cinese e indiana), libro che fece epoca e che avviò un discorso in controtendenza, cioè che andava contro la tendenza generale di allora di squalificare il confucianesimo in quanto responsabile per l’arretratezza della Cina.
Il nome preciso, o meglio completo, di questo movimento è nuovo confucianesimo contemporaneo (dangdai xin rujia). Infine negli ultimi due decenni, in seguito al ritorno alla ribalta in Cina degli studi confuciani, è nata una nuova distinzione terminologica di questo genere:
Xiandai xin ruxue (nuovo sapere confuciano odierno): quegli studiosi che in Cina si occupano di studiare il confucianesimo (storia, classici, pensiero, eccetera).
Dangdai xin rujia (nuovo confucianesimo contemporaneo): quegli studiosi che in Cina (o altrove) studiano sì il confucianesimo, ma soprattutto lo considerano la dottrina che ispira la loro vita e vi aderiscono nel loro pensiero. Con questo s’intende i vari filosofi di un recente passato ormai molto noti, come Tang Junyi o Mou Zongsan, e i loro numerosi discepoli, sparsi ormai un po’ dovunque nel mondo, Cina compresa.

mercoledì 16 gennaio 2013

La Settimana Confuciana

Sono alle prese con un aneddoto, meglio dire una parabola, che si trova nel libro di Mencio: “C’era un tale, che abitava nel regno di Song, che dispiaciuto nel vedere che il suo grano cresceva adagio, un giorno si recò nel campo e si mise a tirare i germogli perché crescessero più in fretta. Una volta tirate tutte le pianticine, se ne tornò a casa, ignaro di quello che aveva fatto. In casa commentò: “Stasera sono proprio stanco! Ho aiutato tutte le pianticine di grano a crescere in fretta!” Suo figlio corse nel campo a vedere e trovò che le piante erano tutte avvizzite.” (2 A, 2)

L’interpretazione di questa simpatica parabola è controversa. Infatti esiste un’interpretazione tradizionale secondo cui nella propria vita, e in particolare in riferimento alla propria coltivazione interiore, non bisogna forzare le cose. Uno potrebbe recar danno al proprio sviluppo morale se vuole fare il passo più lungo della gamba, in altri termini, se cerca di compiere azioni grandiose di santità quando non è ancora psicologicamente tranquillo e maturo per tali imprese.

Tale interpretazione cozza con il tenore degli insegnamenti di Mencio, dove l’impegno per la coltivazione morale non è mai considerato eccessivo, e soprattutto non è mai da procrastinare. Ragion per cui diversi esegeti si sono almanaccati per trovare altre interpretazioni.

Il vero significato si dovrebbe cercare nelle frasi che precedono e seguono questa parabola. Con molta probabilità le parole di Mencio sono dirette al rapporto fra la volontà del singolo e la sua energia vitale, il famoso qi, che è l’energia che mette in moto il corpo e cioè quindi compie le azioni. O meglio, il corpo compie le azioni in forza di questa energia vitale, la quale a sua volta è guidata dalla volontà dell’individuo.
Riferirò le mie conclusioni quando avrò capito che cosa veramente voleva dire Mencio.

 

domenica 6 gennaio 2013


LA SETTIMANA CONFUCIANA 

        I giorni volano e siamo nel 2013. Il libro sul Primo principio della filosofia confuciana sta procedendo da più di tre anni. Ho modificato il piano di lavoro. Prevedevo tre parti: Fondamenti – Sviluppi – Dimensioni. Dato che tale piano avrebbe richiesto troppi anni, l’ho ridotto a due: Fondamenti e Dimensioni. Ancora si tratta di un programma di lavoro forse troppo impegnativo, per cui sto pensando se modificarlo ancora. Il lavoro fatto è già parecchio: ho scritto circa 300 pagine. Spero di finire presto, se riesco a sbloccare certi punti morti...

        Il primo principio di cui intendo parlare è quello di Mencio: Ogni essere umano ha un cuore che non sopporta di vedere altri esseri umani (e anche animali) soffrire. Mencio ha individuato un sentimento che funge – nel sistema filosofico confuciano – appunto da primo principio, da cui si sviluppano le varie dottrine, ad esempio quella etica, politica, pedagogica, ecologica e così via. Il principio suddetto è quindi anche un fondamento all’etica confuciana, e lo è stato per oltre due millenni nel mondo estremorientale (non solo Cina, ma anche Corea, Giappone e Vietnam).