mercoledì 16 gennaio 2013

La Settimana Confuciana

Sono alle prese con un aneddoto, meglio dire una parabola, che si trova nel libro di Mencio: “C’era un tale, che abitava nel regno di Song, che dispiaciuto nel vedere che il suo grano cresceva adagio, un giorno si recò nel campo e si mise a tirare i germogli perché crescessero più in fretta. Una volta tirate tutte le pianticine, se ne tornò a casa, ignaro di quello che aveva fatto. In casa commentò: “Stasera sono proprio stanco! Ho aiutato tutte le pianticine di grano a crescere in fretta!” Suo figlio corse nel campo a vedere e trovò che le piante erano tutte avvizzite.” (2 A, 2)

L’interpretazione di questa simpatica parabola è controversa. Infatti esiste un’interpretazione tradizionale secondo cui nella propria vita, e in particolare in riferimento alla propria coltivazione interiore, non bisogna forzare le cose. Uno potrebbe recar danno al proprio sviluppo morale se vuole fare il passo più lungo della gamba, in altri termini, se cerca di compiere azioni grandiose di santità quando non è ancora psicologicamente tranquillo e maturo per tali imprese.

Tale interpretazione cozza con il tenore degli insegnamenti di Mencio, dove l’impegno per la coltivazione morale non è mai considerato eccessivo, e soprattutto non è mai da procrastinare. Ragion per cui diversi esegeti si sono almanaccati per trovare altre interpretazioni.

Il vero significato si dovrebbe cercare nelle frasi che precedono e seguono questa parabola. Con molta probabilità le parole di Mencio sono dirette al rapporto fra la volontà del singolo e la sua energia vitale, il famoso qi, che è l’energia che mette in moto il corpo e cioè quindi compie le azioni. O meglio, il corpo compie le azioni in forza di questa energia vitale, la quale a sua volta è guidata dalla volontà dell’individuo.
Riferirò le mie conclusioni quando avrò capito che cosa veramente voleva dire Mencio.