martedì 12 marzo 2013


CONFUCIANESIMO E ORTODOSSIA

        L’ultimo millennio nella storia della filosofia confuciana è stato dominato dal movimento del neoconfucianesimo, che ha trionfato non solo in Cina, ma – e forse anche di più – in Giappone e in Corea. Le premesse ideologiche basilari di questo movimento persistono anche nella corrente più moderna della filosofia confuciana, il nuovo confucianesimo odierno. Il neoconfucianesimo è stato spesso criticato, in passato e in tempi recenti, e definito come uno strano miscuglio di confucianesimo e di buddismo e daoismo. Più d’uno già ai tempi della dinastia Ming ha visto il neoconfucianesimo come un buddismo in veste confuciana. Tale critica è da ritenere sostenibile? Penso sia utile spendere alcune pagine per vagliarla.
        Partiamo da un concetto di cui si parla spesso nel neoconfucianesimo, il concetto di daotong. Il termine vuole significare la “linea ortodossa di trasmissione della Via (Dao).” Il concetto ha origini antiche. Qualcuno lo fa risalire addirittura a Mencio, che si sentiva investito della responsabilità di trasmettere ai posteri il vero messaggio di Confucio, in un’epoca in cui la sana dottrina di Confucio era travisata o perfino combattuta. O forse – come la più parte ritiene - risale all’influsso del buddismo, che specialmente nella versione Zen dava grande importanza alla trasmissione della dottrina autentica non per mezzo di libri o scritti, ma direttamente da maestro a discepolo, in una linea ininterrotta.
        Dopo vari secoli di predominio del pensiero buddista e daoista, fu il grande prosatore Han Yu (768-824) il primo a spingere attivamente per un ritorno al confucianesimo genuino delle origini, parlando dell’origine del dao (vera dottrina), insegnato dagli antichi sapienti, poi contenuto nei classici compilati e trasmessi da Confucio, poi sviluppato da Mencio, linea che con Mencio s’interruppe, dato che i confuciani della dinastia Han erano più vicini a Xunzi o mescolavano insieme idee daoiste o di vario genere.
        Poi venne Zhu Xi (1130-1200), che fu il primo ad usare il termine daotong, e a sostenere vigorosamente questo concetto di una linea di trasmissione della vera dottrina. Secondo lui, la vera dottrina di Confucio era stata trasmessa da Confucio al discepolo Zengzi, poi da Zengzi a Zisi, nipote di Confucio (morto nel 402 av.C.), poi da questi – o più verosimilmente da un discepolo di Zisi - a Mencio. Con Mencio la linea si era spenta e si era riaccesa solamente con l’avvento della dinastia Song, grazie ai grandi pensatori neoconfuciani (Zhou Dunyi, Cheng Hao, Cheng Yi, ecc.), dei quali lui Zhu Xi si sentiva l’erede e il sintetizzatore.
        Lu Xiangshan, filosofo contemporaneo di Zhu Xi - insieme suo amico e avversario - era solito criticare Zhu Xi per aver infilato di soppiatto nella filosofia confuciana delle idee buddiste e daoiste, fra cui appunto anche il concetto di daotong. Zhu Xi è stato criticato nei secoli seguenti da non pochi confuciani per aver mescolato il confucianesimo con idee filosofiche di stampo buddista e daoista. Qualcuno addirittura ha osato affermare che la filosofia neoconfuciana - e Zhu Xi è il numero uno, il grande sintetizzatore del sistema filosofico neoconfuciano - non è altro che buddismo travestito da confucianesimo.
        Per accertare se Zhu Xi avesse ragione di vantare l’esistenza di una linea ortodossa di pensiero che andava da Confucio fino a lui, esiste un metodo valido, ed è di approfondire che cosa Zhu Xi intendesse per Dao.
        Sappiamo che Zhu Xi da giovane era affascinato dal buddismo, cui rinunciò, optando per il confucianesimo, dopo aver studiato sotto il maestro Li Tong (1093-1163). In seguito Zhu Xi criticò il buddismo per vari motivi, anche se dimostrò di averne sempre una notevole stima. Lodava soprattutto il loro impegno per la coltivazione personale in cerca della liberazione – soleva dire: “i buddisti spendono tante energie per disciplinare la mente” - e riteneva che i confuciani avessero comunque sempre qualcosa da imparare dai buddisti. In quell’epoca capitava spesso che intellettuali confuciani arrivassero al confucianesimo dopo anni di ricerca nel buddismo e nel daoismo.
        Dalle critiche che i confuciani, compreso anche Zhu Xi, rivolgevano ai buddisti, si rileva che davvero l’orientamento di pensiero era sostanzialmente diverso. Il punto critico era il valore delle istituzioni sociali. Il buddismo negava tale valore e insegnava ad abbandonare la società. Quindi una visione negativa, o per lo meno passiva, delle istituzioni. Zhu Xi criticava i buddisti perché scartavano i Tre Legami (le tre relazioni basilari della società: padre-figlio, marito-moglie, sovrano-suddito) e le cinque virtù (le virtù che regolano le cinque relazioni etiche). Per lui questa da sola era una cosa abnorme, delittuosa, che doveva spingere ogni persona ben intenzionata a rigettare il buddismo.
        La divergenza riguardo al valore delle istituzioni sociali non è altro che una manifestazione delle differenze nelle vedute ontologiche delle due filosofie. Nel parlare della realtà esistente, i buddisti non parlano che d’illusione, di vacuità; i confuciani sono realisti, parlano di realtà concreta. I buddisti sono dualisti (Vuoto Assoluto e mondo illusorio); i confuciani sono monisti (esiste un principio che governa tutto). L’ideale ultimo dei confuciani è il ren (benevolenza verso gli altri e fra tutti gli esseri); l’ideale ultimo per i buddisti è la vacuità. Il ‘principio’ che i confuciani sostengono è quello innato e inerente nella natura umana; il ‘principio’ dei buddisti è il vuoto. Mentre per i confuciani la funzione della mente/cuore è di scoprire i principi realmente presenti nell’intimo dell’essere umano, per i buddisti è di arrivare alla coscienza della natura illusoria del tutto. Il confuciano è impegnato a realizzare il valore della vita, il buddista è impegnato a trascendere il mare amaro della vita e della morte attraverso il distacco da tutto e la meditazione.
        In conclusione possiamo dire che storicamente i neoconfuciani avranno anche preso delle cose dai buddisti (il gusto per la meditazione, la problematica filosofica, certi termini e concetti, eccetera), e per questo alle volte sembrano un po’ somiglianti; ma alla fin fine la differenza di fondo è tale che proprio non si può ignorare. A ragion veduta, quindi, dal punto di vista storico si può anche ignorare la teoria della linea di trasmissione ortodossa sostenuta da Zhu Xi; ma dal punto di vista filosofico rimane vero il fatto che i neoconfuciani non sono buddisti, ma sono sinceramente confuciani nella loro ispirazione di fondo. I due principi cardine della loro visione filosofica sono questi: “la natura umana è buona e dono del Cielo” e “il Cielo è il principio creativo incessantemente all’opera nell’universo e afferrabile dalla mente.”
        C’è da dire che la “natura umana” (xing) è proprio una di quelle cose di cui Confucio non amava parlare (la natura umana e la Via del Cielo), come s’è già visto a suo tempo. Ma anche sappiamo che Confucio era soprattutto interessato al concetto di benevolenza (ren), una virtù che analizzata in profondità porta allo stesso traguardo del principio di Mencio della natura buona. Confucio non ha mai detto esplicitamente che la natura umana è buona; ma ha mostrato chiaramente di credere che nel cuore dell’uomo è insito un grande potenziale e che lo scopo primario dell’essere umano è di sviluppare questo potenziale e di aiutare gli altri a svilupparlo. I filosofi neoconfuciani avevano anch’essi questa fede nel ren, proprio come Confucio.
        Quanto alla Via del Cielo, nei Dialoghi di Confucio il Cielo è senz’altro una presenza importante. Confucio prendeva a modello il Cielo. Si vede che per lui il Cielo era una realtà trascendente, la suprema forza creativa all’opera incessantemente nell’universo, anche se piuttosto impersonale. E anche in questo i neoconfuciani, compreso Zhu Xi, erano della stessa fede di Confucio.
        La tradizione confuciana non è monolitica, e non è legata mani e piedi a un’ortodossia. È una tradizione in crescita. Mencio ha affermato che la natura umana è buona, una cosa che Confucio non aveva ancora detto; che ognuno ha i quattro germogli delle virtù fondamentali; che sviluppando il potenziale di crescita interiore della propria natura l’uomo arriva a conoscere il Cielo. In questo modo Mencio ha fatto di cuore (xin), natura (xing) e Cielo (tian) un trio inseparabile. In seguito il Zhongyong ha arricchito la prospettiva, dichiarando nelle frasi iniziali che:
Ciò che il Cielo ha conferito si chiama Natura.                                                                                 Seguire la natura si chiama Dao.                                                                                                    Coltivare il Dao si chiama educazione.
        In questo modo il mandato celeste veniva del tutto interiorizzato nella natura umana e veniva stabilita una correlazione fra Cielo e uomo. Il Zhongyong contiene tante altre cose, fra cui importante questa: che la Via del Cielo si chiama sincerità (cheng) e raggiungere la sincerità con se stessi è la via dell’uomo.
        Questa visione ormai di sapore metafisico presentata dal Zhongyong, con il Cielo come supremo principio ontologico, fu dimenticata durante la dinastia Han, più vicina a Xunzi, e anche nei secoli seguenti, quando trionfava la speculazione buddista e daoista. Tornò in auge con i neoconfuciani. Questi avevano certamente appreso dei concetti e degli elementi dalle altre due religioni, e si esprimevano con un linguaggio a volte similare al linguaggio filosofico buddista e daoista; ma il loro messaggio era diverso dai buddisti e dai daoisti, era ancora quello di Confucio e di Mencio, della natura umana buona donata dal Cielo. Né buddisti né daoisti credevano al Cielo come supremo principio ontologico creativo dell’universo e alla natura umana buona come dono del Cielo.

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