CONFUCIANESIMO
E ORTODOSSIA
L’ultimo millennio nella
storia della filosofia confuciana è stato dominato dal movimento del
neoconfucianesimo, che ha trionfato non solo in Cina, ma – e forse anche di più
– in Giappone e in Corea. Le premesse ideologiche basilari di questo movimento
persistono anche nella corrente più moderna della filosofia confuciana, il nuovo confucianesimo odierno. Il
neoconfucianesimo è stato spesso criticato, in passato e in tempi recenti, e
definito come uno strano miscuglio di confucianesimo e di buddismo e daoismo.
Più d’uno già ai tempi della dinastia Ming ha visto il neoconfucianesimo come
un buddismo in veste confuciana. Tale critica è da ritenere sostenibile? Penso
sia utile spendere alcune pagine per vagliarla.
Partiamo da un concetto di
cui si parla spesso nel neoconfucianesimo, il concetto di daotong. Il termine vuole significare la “linea ortodossa di
trasmissione della Via (Dao).” Il
concetto ha origini antiche. Qualcuno lo fa risalire addirittura a Mencio, che
si sentiva investito della responsabilità di trasmettere ai posteri il vero
messaggio di Confucio, in un’epoca in cui la sana dottrina di Confucio era
travisata o perfino combattuta. O forse – come la più parte ritiene - risale
all’influsso del buddismo, che specialmente nella versione Zen dava grande
importanza alla trasmissione della dottrina autentica non per mezzo di libri o
scritti, ma direttamente da maestro a discepolo, in una linea ininterrotta.
Dopo vari secoli di
predominio del pensiero buddista e daoista, fu il grande prosatore Han Yu (768-824)
il primo a spingere attivamente per un ritorno al confucianesimo genuino delle
origini, parlando dell’origine del dao
(vera dottrina), insegnato dagli antichi sapienti, poi contenuto nei classici
compilati e trasmessi da Confucio, poi sviluppato da Mencio, linea che con
Mencio s’interruppe, dato che i confuciani della dinastia Han erano più vicini
a Xunzi o mescolavano insieme idee daoiste o di vario genere.
Poi venne Zhu Xi
(1130-1200), che fu il primo ad usare il termine daotong, e a sostenere vigorosamente questo concetto di una linea
di trasmissione della vera dottrina. Secondo lui, la vera dottrina di Confucio
era stata trasmessa da Confucio al discepolo Zengzi, poi da Zengzi a Zisi,
nipote di Confucio (morto nel 402 av.C.), poi da questi – o più verosimilmente
da un discepolo di Zisi - a Mencio. Con Mencio la linea si era spenta e si era
riaccesa solamente con l’avvento della dinastia Song, grazie ai grandi
pensatori neoconfuciani (Zhou Dunyi, Cheng Hao, Cheng Yi, ecc.), dei quali lui
Zhu Xi si sentiva l’erede e il sintetizzatore.
Lu Xiangshan, filosofo
contemporaneo di Zhu Xi - insieme suo amico e avversario - era solito criticare
Zhu Xi per aver infilato di soppiatto nella filosofia confuciana delle idee
buddiste e daoiste, fra cui
appunto anche il concetto di daotong. Zhu Xi è stato criticato nei secoli seguenti da non
pochi confuciani per aver mescolato il confucianesimo con idee filosofiche di
stampo buddista e daoista. Qualcuno addirittura ha osato affermare
che la filosofia neoconfuciana - e Zhu Xi è il numero uno, il grande
sintetizzatore del sistema filosofico neoconfuciano - non è altro che buddismo
travestito da confucianesimo.
Per accertare se Zhu Xi
avesse ragione di vantare l’esistenza di una linea ortodossa di pensiero che
andava da Confucio fino a lui, esiste
un metodo valido, ed è di approfondire che
cosa Zhu Xi intendesse per Dao.
Sappiamo che Zhu Xi da
giovane era affascinato dal buddismo, cui rinunciò, optando per il
confucianesimo, dopo aver studiato sotto il maestro Li Tong (1093-1163). In
seguito Zhu Xi criticò il buddismo per vari motivi, anche se dimostrò di averne
sempre una notevole stima. Lodava soprattutto il loro impegno per la
coltivazione personale in cerca della liberazione – soleva dire: “i buddisti
spendono tante energie per disciplinare la mente” - e riteneva che i confuciani
avessero comunque sempre qualcosa da imparare dai buddisti. In quell’epoca
capitava spesso che intellettuali confuciani arrivassero al confucianesimo dopo
anni di ricerca nel buddismo e nel daoismo.
Dalle critiche che i
confuciani, compreso anche Zhu Xi, rivolgevano ai buddisti, si rileva che
davvero l’orientamento di pensiero era sostanzialmente diverso. Il punto
critico era il valore delle istituzioni sociali. Il buddismo negava tale valore
e insegnava ad abbandonare la società. Quindi una visione negativa, o per lo
meno passiva, delle istituzioni. Zhu Xi criticava i buddisti perché scartavano
i Tre Legami (le tre relazioni
basilari della società: padre-figlio, marito-moglie, sovrano-suddito) e le
cinque virtù (le virtù che regolano le cinque relazioni etiche). Per lui questa
da sola era una cosa abnorme, delittuosa, che doveva spingere ogni persona ben
intenzionata a rigettare il buddismo.
La divergenza riguardo al
valore delle istituzioni sociali non è altro che una manifestazione delle
differenze nelle vedute ontologiche delle due filosofie. Nel parlare della
realtà esistente, i buddisti non parlano che d’illusione, di vacuità; i
confuciani sono realisti, parlano di realtà concreta. I buddisti sono dualisti
(Vuoto Assoluto e mondo illusorio); i confuciani sono monisti (esiste un
principio che governa tutto). L’ideale ultimo dei confuciani è il ren (benevolenza verso gli altri e fra
tutti gli esseri); l’ideale ultimo per i buddisti è la vacuità. Il ‘principio’ che i confuciani sostengono è quello innato
e inerente nella natura umana; il ‘principio’ dei buddisti è il vuoto. Mentre per i confuciani la
funzione della mente/cuore è di scoprire i principi realmente presenti
nell’intimo dell’essere umano, per i buddisti è di arrivare alla coscienza
della natura illusoria del tutto. Il confuciano è impegnato a realizzare il
valore della vita, il buddista è impegnato a trascendere il mare amaro della
vita e della morte attraverso il distacco da tutto e la meditazione.
In conclusione possiamo
dire che storicamente i neoconfuciani avranno anche preso delle cose dai
buddisti (il gusto per la meditazione, la problematica filosofica, certi
termini e concetti,
eccetera), e per questo alle volte sembrano un po’ somiglianti; ma alla fin
fine la differenza di fondo è tale che proprio non si può ignorare. A ragion
veduta, quindi, dal punto di vista storico si può anche ignorare la teoria
della linea di trasmissione ortodossa sostenuta da Zhu Xi; ma dal punto di
vista filosofico rimane vero il fatto che i neoconfuciani non sono buddisti, ma
sono sinceramente confuciani nella loro ispirazione di fondo. I due principi
cardine della loro visione filosofica sono questi: “la natura umana è buona e
dono del Cielo” e “il Cielo è il principio creativo incessantemente all’opera
nell’universo e afferrabile dalla mente.”
C’è da dire che la “natura
umana” (xing) è proprio una di quelle
cose di cui Confucio non amava parlare (la natura umana e la Via del Cielo),
come s’è già visto a suo tempo. Ma anche sappiamo che Confucio era soprattutto
interessato al concetto di benevolenza (ren),
una virtù che analizzata in profondità porta allo stesso traguardo del
principio di Mencio della natura buona. Confucio non ha mai detto
esplicitamente che la natura umana è buona; ma ha mostrato chiaramente di
credere che nel cuore dell’uomo è insito un grande potenziale e che lo scopo
primario dell’essere umano è di sviluppare questo potenziale e di aiutare gli
altri a svilupparlo. I filosofi neoconfuciani avevano anch’essi questa fede nel
ren, proprio come Confucio.
Quanto alla Via del Cielo,
nei Dialoghi di Confucio il Cielo è
senz’altro una presenza importante. Confucio prendeva a modello il Cielo. Si
vede che per lui il Cielo era una realtà trascendente, la suprema forza
creativa all’opera incessantemente nell’universo, anche se piuttosto
impersonale. E anche in questo i neoconfuciani, compreso Zhu Xi, erano della
stessa fede di Confucio.
La tradizione confuciana
non è monolitica, e non è legata mani e piedi a un’ortodossia. È una tradizione
in crescita. Mencio ha affermato che la natura umana è buona, una cosa che
Confucio non aveva ancora detto; che ognuno ha i quattro germogli delle virtù
fondamentali; che sviluppando il potenziale di crescita interiore della propria
natura l’uomo arriva a conoscere il Cielo. In questo modo Mencio ha fatto di
cuore (xin), natura (xing) e Cielo (tian) un trio inseparabile. In seguito il Zhongyong ha arricchito la prospettiva, dichiarando nelle frasi
iniziali che:
Ciò che il
Cielo ha conferito si chiama Natura. Seguire
la natura si chiama Dao. Coltivare
il Dao si chiama educazione.
In questo modo il mandato
celeste veniva del tutto interiorizzato nella natura umana e veniva stabilita una
correlazione fra Cielo e uomo. Il Zhongyong
contiene tante altre cose, fra cui importante questa: che la Via del Cielo si
chiama sincerità (cheng) e
raggiungere la sincerità con se stessi è la via dell’uomo.
Questa visione ormai di sapore metafisico presentata dal Zhongyong, con il Cielo come supremo
principio ontologico, fu dimenticata durante la dinastia Han, più vicina a
Xunzi, e anche nei secoli seguenti, quando trionfava la speculazione buddista e
daoista. Tornò in auge con i neoconfuciani. Questi avevano certamente appreso
dei concetti e degli elementi dalle altre due religioni, e si
esprimevano con un linguaggio a volte similare al linguaggio filosofico
buddista e daoista; ma il loro messaggio era diverso dai buddisti e dai
daoisti, era ancora quello di Confucio e di Mencio, della natura umana buona
donata dal Cielo. Né buddisti né daoisti credevano al Cielo come supremo
principio ontologico creativo dell’universo e alla natura umana buona come dono
del Cielo.