mercoledì 26 giugno 2013


La Settimana confuciana                                        26 giugno 2013
Due sinologi a confronto
 
Da anni è in corso un dibattito di pubblicazioni fra due filosofi francofoni e i loro sostenitori. Si tratta del francese François Jullien e dello svizzero François Billeter, due provetti sinologi. François Jullien nei suoi numerosi libri ha continuato a sostenere l’idea della estrema originalità della cultura cinese. Per lui la Cina è il totalmente altro, e per di più risulta non solo al di là, ma addirittura al di sopra dei nostri orizzonti culturali. Billeter scrive confutando questa teoria e sostenendo che Jullien ha frainteso la cultura cinese, che in realtà non è così diversa, dato che esistono degli universali sociali e filosofici, da cui neanche la Cina può esonerarsi.
La mia opinione è che, come sempre, in medio stat virtus. Da una parte mi alletta la visione della tremenda originalità della cultura cinese, sviluppatasi autonoma al di fuori dei paradigmi occidentali. Guardando la storia della nostra filosofia dal di fuori, e cioè attraverso gli occhiali del pensiero cinese, si è tremendamente avvantaggiati a vedere i limiti e i pregi della nostra cultura. È quindi immensamente meritevole studiare - come auspicato da François Jullien - la cultura cinese. Dall’altra parte ritengo che la singolarità e unicità di questa cultura non debba essere assolutizzata. La ragione principale è che merita credito anche l’assunto (degnità) di Giambattista Vico quando afferma:
È necessario che vi sia nella natura delle cose umane una lingua mentale comune a tutte le nazioni, la quale uniformemente intenda la sostanza delle cose agibili nell’umana vita socievole, e la spieghi con tante diverse modificazioni per quanti diversi aspetti possan aver esse cose. (Scienza Nuova, I, 2, xxii)
In secondo luogo occorre notare che l’isolamento della Cina rispetto all’Europa non è stato mai totale. Rapporti sia pure sporadici dovevano esserci stati già in epoche remote. Fra i reperti del museo di Orvieto ci sono degli specchi di bronzo ritrovati in una tomba etrusca del V secolo av. C. stranamente identici agli specchi cinesi della stessa epoca. Ai tempi dell’Impero Romano, sotto gli Antonini era già in funzione una doppia via della seta (via terra e via mare) con scambi di merci e ovviamente anche di idee.
In seguito la Cina ha subito un’invasione culturale massiccia dall’India (buddismo). La struttura mentale degli indiani non è poi totalmente diversa da quella europea, visto che le lingue indoeuropee hanno tanto in comune. Per non parlare poi di un lungo periodo di interscambio dei cinesi con gli arabi, proprio nei secoli del massimo fulgore della civiltà islamica. In quei secoli il nostro mondo ricevette dagli arabi la bussola, lo zucchero, il riso, la carta, la polvere da sparo, la filosofia aristotelica e tante altre cose, alcune delle quali provenivano dalla Cina. Si può legittimamente supporre che la stessa vivacità di scambi sia avvenuta attraverso la mediazione degli arabi anche nell’altro senso, cioè dall’Europa alla Cina. Viene allora naturale pensare che - come d’altronde avvenne sotto la dinastia Tang per il cristianesimo monastico siriano (cosiddetto nestoriano) - se i cinesi non assorbirono dagli arabi più di tanto, non è perché non sapevano, ma perché non ritenevano tanto importante o valido quanto veniva proposto.