sabato 23 febbraio 2013


Settimana confuciana                          24 febbraio 2013

 

Nel mondo occidentale la famiglia è entrata in crisi. Non solo ci sono fenomeni nuovi come le cosiddette unioni di fatto di vario tipo, ma addirittura ci sono persone che auspicano l’abbandono definitivo dell’istituzione della famiglia e quindi del matrimonio come cose inutili e obsolete, se non addirittura dannose.

Dalla piattaforma della cultura confuciana, una posizione ideologica di questo genere pecca di estrema superficialità culturale. Infatti la cultura cinese ha sempre attribuito enorme importanza al li, tradotto spesso con riti. L’istituzione della famiglia, con i riti che la riguardano (vuoi il matrimonio che le norme di comportamento, responsabilità, eccetera), secondo Confucio fa parte integrante dell’esistenza umana.

Zhu Xi ha chiarito anche lui la cosa, quando ha affermato che il principio origine dei riti è il Cielo, mentre le norme pratiche rituali possono venire cambiate: in qualsiasi momento gli uomini possono cambiare i loro rituali.” Il fondamento ultimo dei riti è nientemeno che il volere del Cielo, che ha strutturato il cosmo e il genere umano in un determinato modo da lui voluto.

       Quindi anche nel caso del matrimonio e della famiglia, le norme relative possono essere esaminate, studiate, migliorate, corretti gli abusi e i difetti, ma non cancellate. Quando non esiste più l’istituzione, l’umanità si trova nel vuoto, cioè non è più umanità, si riduce al livello degli animali.

Anche Giambattista Vico (riprendendo un’idea dell’antichità classica) riteneva che la civiltà umana fosse cominciata – come dice il Foscolo - da nozze, tribunali ed are. Togliendo queste cose, la comunità umana si autodistrugge, ritorna allo stato ferino delle origini. Insomma, come implicito nei discorsi confuciani, il li (riti, istituzioni civili) è ciò che distingue l’uomo dagli animali. Senza il li gli esseri umani non sono diversi dalle bestie e non possono certo riuscire a raggiungere la felicità.

domenica 17 febbraio 2013


Settimana confuciana                            17 febbraio 2013

I giorni volano e mi trovo di nuovo all’appuntamento con il mio blog.

Uno dei detti di Confucio che sono più spesso fraintesi è questo:

Zilu domandò come si devono servire gli spiriti e le divinità. Il maestro rispose: ‘Ancora non sei capace di servire gli uomini, come puoi servire gli spiriti?’ Zilu domandò: ‘Posso chiedere cos’è la morte?’ Confucio rispose: ‘Ancora non sai cos’è la vita, come vuoi pretendere di conoscere la morte?’ (Dialoghi, XI, 12)
Siamo nel mezzo di una conversazione fra Confucio e il discepolo Zilu, che avanza due domande. Prima domanda: come si devono servire gli spiriti, cioè quale culto si deve dare agli spiriti (si intende: gli spiriti degli antenati) e alle divinità (o alla divinità: la grammatica cinese non distingue il singolare e il plurale, inoltre in questo momento non prendiamo in considerazione questo problema). La seconda domanda riguarda il problema di cosa è la morte, e cioè di cosa avviene quando uno muore, e di conseguenza, della sopravvivenza dopo la morte, e cioè il problema dell’aldilà.
All’una e all’altra domanda Confucio risponde in modo similare, e cioè a sua volta con un’altra domanda. Si tratta di una doppia domanda retorica: Come puoi pretendere di saper servire gli spiriti se non sei ancora capace di servire gli uomini? Come puoi pretendere di voler sapere cosa c’è dopo la morte se non sai ancora cosa veramente è la vita?
        Le risposte di Confucio sono profonde e provocanti. Siccome anche lui, da comune mortale, riesce a capire ben poco del soprannaturale (divinità) e dell’aldilà (la morte), non dà due risposte positive, risponde con due domande. Sono domande che a sviscerarle producono tante riflessioni. In breve si può dire che Confucio non denigra il valore della ricerca sulla divinità – e non denigra la divinità che è oggetto della ricerca – come non denigra il desiderio di sapere qualcola dell’aldilà.
        Confucio si limita a mettere uno di fronte a una priorità. L’essere umano ha dei sentimenti e dei doveri che sgorgano dalla sua natura. Prima deve ascoltare quelli, approfondirli e seguirli. Una volta che ha fatto questo, potrà permettersi di approfondire e capire – e arriverà ad approfondire e capire - qualcosa riguardo all’aldilà e alla divinità. I sentimenti e doveri riguardano l’uomo e cioè hanno a che fare con la vita normale quotidiana e i rapporti etici con genitori, fratelli, amici.

sabato 9 febbraio 2013

Settimana confuciana                                  8 febbraio 2013
Ieri mi è capitata fra le mani una foto che da vari anni non vedevo. Si tratta della foto di un monumento che si trova in Giappone, a Fukuoka, nel tempio Kinryu. È il monumento a Kaibara Ekken, un letterato confuciano di secoli fa.
Il monumento rappresenta lui seduto (evidentemente non su una sedia, ma su un tatami) con la spada di samurai accanto alle ginocchia; davanti un semplice tavolino; sul tavolino una pila di libri, l’inchiostro e il pennello per scrivere.
Kaibara Ekken o Ekiken (1630-1714) è nato a Chikuzen, nei pressi di Fukuoka (Kyushu), figlio di un medico personale del daimyo locale. A 26 anni fu mandato a Tokyo a studiare medicina, ma due anni dopo si spostò a Kyoto per studiare il confucianesimo sotto due illustri maestri (Kinoshita Jun’an e Nakamura Teisai) seguaci di ZhuXi.
Verso i trentanni si mise a propagandare le dottrine di Zhu Xi, scrivendo numerose opere di divulgazione. Fu il primo a pubblicare i classici confuciani (e anche antologie degli scritti di Zhu Xi) nella scrittura giapponese, anziché in caratteri cinesi. Fra i tanti confuciani del periodo Tokugawa Kaibara Ekken fu sicuramente uno dei più prolifici di scritti e dei più impegnati nella sua opera educativa. Seppe adattare l’etica confuciana alla psiche dei giapponesi. Lui propagava uan spiritualità di tipo confuciano e anche applicava il confucianesimo alla vita pratica della gente, scrivendo norme e consigli per i giovani, per le donne, per il cittadino. Anche in economia lui sapeva dare consigli, incoraggiando i feudatari a limitare le spese. Ricordava loro che le terre erano limitate e di conseguenza anche la produzione agricola; per cui onde il cibo potesse bastare a tutti, si dovevano evitare gli sprechi.
Kaibara Ekken nei suoi scritti lasciava un po’ da parte le preoccupazioni metafisiche e cosmologiche della filosofia di Zhu Xi e puntava invece sugli insegnamenti etici e psicologici di vita pratica. Era quindi un confuciano particolarmente interessato al cosiddetto practical learning (jitsugaku). Okata Takehiko, un confuciano dei nostri tempi, morto pochi anni or sono, così definiva il lavoro compiuto da Kaibara Ekken: “La gamma di interessi del jitsugaku di Kaibara Ekken era davvero strabiliante; comprendeva un po’ tutto, dalla pratica dell’etica alle buone maniere, alle istituzioni, linguistica, medicina, botanica, zoologia, agricoltura, produzione industriale, tassonomia, igiene alimentare, giurisprudenza, matematica, musica e tattica militare.”
Ekken è rimasto famoso specialmente per i suoi manuali di condotta, che traducevano l’etica confuciana nella vita pratica quotidiana dei giapponesi, come i Precetti sulle usanze giapponesi per i bambini (Wazokudōjikun), Precetti per i samurai (Bukun), Precetti sulla Vita Famigliare (Kadōkun), Grande Sapere per le Donne (Onna daigaku), Precetti per la vita quotidiana in Giappone (Yamato zokkun). Quest’ultimo libro è un trattato eticoreligioso che discute il metodo di disciplina morale e spirituale necessario per la pratica della coltivazione morale (cioè il learning of the mind-heart, in giapponese shingaku). L’incipit di questo libro suona così: “I saggi hanno insegnato nel Libro dei Documenti che il cielo e la terra sono i genitori di tutte le cose e che gli esseri umani sono lo spirito dell’universo...Gli esseri umani ricevono l’energia vitale più pura e per questo superano tutte le altre creature...Essi ricevono una natura che consiste in cinque virtù (benevolenza, rettitudine, deferenza, saggezza e lealtà), per cui la loro mente-cuore è la mente-cuore del cielo e della terra....Il cielo e la terra danno la vita e il nutrimento a tutte le cose, la profonda compassione con cui trattano gli esseri umani è diversa dagli uccelli e dagli animali, alberi e piante. Quindi gli esseri umani sono fra tutte le cose i figli dell’universo. Per questo gli esseri umani hanno il cielo e la terra come loro madre e ricevono la loro grande bontà. Per questo la Via dell’uomo è di servire sempre il cielo e la terra.”
Una bella presentazione in inglese di questa grande figura di confuciano si trova in:
Mary Evelyin Tucker, Moral and Spiritual Cultivation in Japanese neo-Confucianism: the Life and Thought of Kaibara Ekken (1630-1714), State University of New York Press, 1989.